11, 18, 25 settembre – Libreria Diari di Bordo, Parma
“Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito e le persone che hai amato”. Da questa osservazione del fotografo statunitense Ansel Adams (1902-1984), fondatore del gruppo f/64, prende avvio la prima edizione di Gente di fotografia, la nuova iniziativa che l’associazione Le Giraffe propone presso la Libreria Diari di Bordo (Parma, borgo Santa Brigida 9) in tre venerdì di settembre: 11, 18 e 25, sempre alle 18. Organizzata in collaborazione con la Libreria indipendente, che questo mese compie un anno di attività, e con l’associazione Amemi’, Gente di fotografia presenta a Parma tre autori, nell’ordine Marco Gualazzini (11 settembre), Giulio Di Meo (18 settembre), Vasco Ascolini (25 settembre). Gli incontri, aperti gratuitamente a tutte e a tutti, si propongono di condurre il pubblico attraverso la poetica dei tre autori di fotografia italiana contemporanea.
Gli autori:
Marco Gualazzini, 39 anni, un inizio nel 2004 come fotogiornalista collaboratore de La Gazzetta di Parma, ha realizzato reportage nel sud del mondo tra i diseredati (India), in zone di guerra (Repubblica democratica del Congo) e tra minoranze religiose perseguitate (Pakistan). Dal 2012 collabora con L’Espresso e il New York Times. Ha pubblicato su Internazionale, Io Donna, D di Repubblica, M di Le Monde, Der Spiegel, The Sunday Times Magazine, Wired, Newsweek Japan, Paris Match, Vanity Fair. Nel 2013 ha vinto il prestigioso Getty Images Grant per un servizio sul Kivu (Congo) e il Premio giornalistico Marco Luchetta sezione Miran Hrovatin. Il Festival Internazionale di Documentari di Amsterdam l’ha selezionato per un documentario per la Rai sul sistema delle caste in India. Dopo aver vinto il Getty Images, grazie a quale ha ricevuto 10 mila dollari per terminare il suo progetto, Gualazzini ha detto in un’intervista di considerarsi “un semplice nunzio. L’importante è la testimonianza, la storia, il messaggio”. Alla Repubblica democratica del Congo è legato da anni per l’amicizia con alcuni missionari e per la sua storia travagliata che segue da tempo. “L’unico dubbio riguardo il raccontare o meno una storia – ritiene – è un discorso etico d’approccio. A mio parere l’approccio etico ad una storia è l’unica cosa che ci legittima o meno a fotografarla”.
Giulio Di Meo, 39 anni, bolognese d’adozione, è fotografo freelance e redattore della rivista di fotogiornalismo Witness Journal. Opera nell’ambito della fotografia sociale e della didattica, organizzando in Italia e all’estero workshop di reportage e street photography e laboratori per bambini, adolescenti, immigrati e disabili per promuovere la fotografia come strumento d’espressione e d’integrazione. Collabora con associazioni, in particolare l’Arci con la quale dal 2007 organizza workshop di fotografia sociale in Brasile, Camerun, Cuba, Saharawi. “Credo nella fotografia come strumento per informare e denunciare, come mezzo di cambiamento personale, sociale e politico. Una fotografia fatta di lotta, rabbia e indignazione, amore, passione, speranza”, racconta. Nel gennaio 2013 ha pubblicato Pig Iron, un racconto fotografico sui contadini brasiliani vittime delle ingiustizie sociali e ambientali commesse dalla multinazionale Vale. Parte dei ricavi ha finanziato attività della compagnia teatrale giovanile “Juventudes pela Paz”. A ottobre 2014 ha pubblicato Sem Terra: 30 anni di storia e di ritratti per celebrare i trent’anni del Movimento Sem Terra (MST) e raccogliere fondi per la Scuola Nazionale Florestan Fernandes. A giugno del 2015 ha pubblicato Il Deserto Intorno, un libro fotografico sui campi profughi Saharawi per sostenere l’Associazione delle Famiglie dei Prigionieri e dei Desaparecidos Saharawi (AFAPREDESA).
Vasco Ascolini, 78 anni, reggiano, fotografa dal 1965. È stato il fotografo ufficiale del Teatro “Romolo Valli” di Reggio Emilia dal 1973 alla fine degli anni ‘80, periodo in cui parallelamente al lavoro di commissione ha approfondito il confronto tra il linguaggio della fotografia e quello del teatro, ricreando l’evento scenico con un punto di vista del tutto personale. Ascolini si è dedicato in particolare alla danza e alla mimica, in cui protagonista è il corpo, l’individuo, che svolgendo il ruolo di attore, si realizza fisicamente. La sua fotografia, la cui cifra caratteristica è il nero che occulta in parte il reale e che agisce sull’inconscio e sulla memoria, è stata definita da E.H.Gombrich “altamente espressionista”. Verso la fine degli anni Ottanta abbandona questo ambito e inizia a dedicarsi all’architettura e alla statuaria trasponendo gli stilemi del teatro su pietre e marmi, sale e giardini, con influenze di De Chirico e della Metafisica. Le sue sculture appaiono umane e con una funzione nuova, immerse in un’atmosfera silenziosa e al contempo inquietante. Le fotografie di teatro di Vasco Ascolini sono conservate a New York al Metropolitan Museum, al MoMA, alla Public Library del Lincoln Center e al Guggenheim Museum, e in altri musei statunitensi ed europei. Ha ricevuto numerose committenze: in Francia è stato incaricato di fotografare la città di Arles, il Museo del Louvre, il Museo Rodin, il Museo Carnavalet, i giardini di Versailles, in Italia la città di Aosta, Mantova, San Giovanni in Persiceto, Pompei. Sue importanti mostre si sono tenute in Francia, Stati Uniti, Germania, Finlandia, Canada, Portogallo, Grecia, Svizzera, Egitto. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private. Nel 2000 è stato nominato dal Ministero della cultura francese “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres”.